Monday, October 13, 2008

Text in Italian

Montecassino 1944, scatenate i marocchini

tratto da Millenovecento, n. 14, dicembre 2003.

Tommaso Baris è dottorando di ricerca di storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università La Sapienza di Roma. La tesi di laurea "Esperienza bellica e mutamenti sociali. L'impatto della guerra sulla popolazione civile del Frusinate 1943-1948" ha vinto la prima edizione del premio "Luigi Micheletti". Sullo stesso argomento Baris ha scritto anche il libro "Fra due fuochi", uscito per la Laterza

Nella primavera del 1944, gli anglo-americani, bloccati ad Anzio e Cassino dall'accanita difesa tedesca (1), decisero di aggirare l'ostacolo chiedendo al comandante francese Alphonse Juin di espugnare la dorsale montuosa degli Aurunci, prendendo alle spalle il dispositivo di difesa germanico.

Il 12 maggio l'offensiva francese fu lanciata in direzione del monte Faito e del monte Maio, il cui controllo consentiva l'accesso alla catena dei monti Musoni.

Grazie all'attacco condotto attraverso località assai impervie, in due giorni le truppe marocchine inquadrate nell'esercito francese (i cosiddetti goumier) aprirono ai mezzi corazzati la via per Ceprano e Frosinone e risalirono, nella settimana successiva, la provincia fino alla valle dell'Amaseno e del Sacco, costringendo i tedeschi a una rovinosa ritirata per evitare l'accerchiamento (2).

Durante la loro travolgente avanzata, per circa due settimane, dal 15 maggio all'inizio di giugno, quasi dimezzate dalla resistenza tedesca (alla fine della battaglia i goumier erano ridotti a circa 7 mila), le truppe francesi si abbandonarono a una serie impressionante di saccheggi, omicidi e stupri in tutti i paesi conquistati, soprattutto contro gruppi ristretti di persone o individui isolati, finchè non fu loro ordinato di arrestare la marcia a Valmontone.

Il carattere sistematico delle violenze e la sostanziale acquiescenza di comandanti e ufficiali diffusero la convinzione della libertà di azione concessa ai soldati coloniali contro i civili, nonostante le sanzioni previste nei codici militari per i reati citati.

In un memorandum della Presidenza del Consiglio, l'atteggiamento degli ufficiali francesi era duramente stigmatizzato perché «lungi dall'intervenire e dal reprimere tali crimini hanno invece infierito contro la popolazione civile che cercava di opporvisi», segnalando come le truppe marocchine fossero state reclutate «mediante un patto che accorda loro il diritto di preda e saccheggio» (3).

«Gli ufficiali lasciano ai marocchini una discreta libertà di azione» e «nella generalità dei casi essi preferiscono ignorare e da qualcuno è stato anche detto che agli irregolari marocchini spetta il diritto di preda».

Una nota del 25 giugno del 1944 del comando generale dell'Arma dei Carabinieri dell'Italia liberata alla Presidenza del Consiglio, segnalava nei comuni di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo, e Sgurgola, in soli tre giorni (dal 2 al 5 giugno), 418 violenze sessuali, di cui 3 su uomini, 29 omicidi, 517 furti compiuti dai soldati marocchini, i quali «infuriarono contro quelle popolazioni terrorizzandole.

Numerosissime donne, ragazze e bambine (...) vennero violentate, spesso ripetutamente, da soldati in preda a sfrenata esaltazione sessuale e sadica, che molte volte costrinsero con la forza i genitori e i mariti ad assistere a tale scempio. Sempre ad opera dei soldati marocchini vennero rapinati innumerevoli cittadini di tutti i loro averi e del bestiame. Numerose abitazioni vennero saccheggiate e spesso devastate e incendiate» (5).

L'impatto per la popolazione civile fu quindi traumatico. L'ondata di violenza generalizzata e sottratta a ogni controllo dei tanto attesi liberatori gettò gli abitanti in uno stato di prostrazione profonda, accentuando il senso di sfiducia verso ogni realtà esterna.

«Ma fuiette nu passaggio, in tre iuorni, facettero l'inferno. Erano na razzaccia brutta e sporca. C'avevano gli 'recchini agliu nase, certe vesti longhe (...). pe tutta la montagna se sentivano strilli e lamenti...» (7).

La liberazione tanto agognata si trasformò in un incubo di violenza sfrenata e incontrollata. L'inatteso seguito degli avvenimenti è rimasto impresso a caratteri assai vividi nella memoria dei protagonisti (6). «Li potettero qua a migliaia, se vedevano scegnere dalla montagna... da luntano erano come alle furmiche», ricorda Concetta C.

Giovannina M., un'altra testimone intervistata, dei marocchini dice: «Nui aspettavamo gli liberatori, arrivettero chigli da n'auta razza. Erano brutti, parevano gli diavoli. Ce rubettero chigliu poche che c'era rimasto e facettero tanto scempio della populazione... C'avevano carta bianca agliu fronte e facettero tutte chelle sporcizie agli omene e alle femmene... una strage. Chisti marocchini erano sporchi, come alle bestie. Erano niri con gli occie rusci, con gli 'recchini agliu nase... na montagna piena, sbucavano da tutte le parte, pigliavano tutte le donne che incuntravano e se le purtavano alla boscaglia, passavano in colonna in mieso a nui... addò vuò scappà?» (8).

Non diversa l'immagine trasmessa dalle fonti ufficiali. Una relazione del Ministero degli Affari Esteri sottolineava che «quotidianamente, in qualunque ora del giorno e della notte» avvenivano «violazioni carnali, ferimenti e assassini, rapine e saccheggi.

Molto frequenti erano stati i casi di ragazze giovanissime deflorate e violentate successivamente da interi gruppi di soldati in preda a furia sadica», mentre «molte donne sono state trovate cadavere a seguito delle violenze patite. Molto spesso tali atrocità sono state commesse in presenza dei famigliari, ridotti prima all'impotenza, e dopo il massacro degli stessi», confermando che «i genitori, i fratelli, i mariti» erano stati costretti «ad assistere allo scempio effettuato» e spesso «uccisi, feriti o malmenati per la resistenza fatta o la difesa esercitata allo scopo di impedire le violenze carnali» (9).

La natura selvaggia del comportamento del Cef disorientò quindi la popolazione, convinta di vedere arrivare gli americani: «Girava la voce che venivano gli americani... invece gli americani non c'hanno passato alla montagna» (10) dice Tommaso Fortunato. la sorpresa fu totale. Gli abitanti rimasero stupiti prima dall'aspetto dei liberatori, poi, dall'inatteso dilagare delle violenze. «E' stata brutta. per fortuna i marocchini qui non sono passati... all'inizio quando ho visto a Sora questi neri, ho detto: mamma mia guarda gli animali... lo dissi alla figlia della padrona, perché non mi rendevo conto che anche loro erano esseri umani» (11).

[Not translated:] «Nui non lo sapevamo mica che chisti marocchini pigliavano le femmine», racconta Maria De Angelis, «Nui sentivamo alluccà (gridare) ma non lo sapevamo chello che stevano a portà annanze (avanti) la gente pé la riparà e loro non ce vulevano ì (andare)» (12).

La sensazione di impotenza, la tolleranza mostrata dai comandi verso i marocchini, il riconoscimento ufficiale che pareva accompagnare la loro violenza selvaggia e indiscriminata, totalmente al di fuori di una possibile regolamentazione, sconcertò gli abitanti dei paesi liberati.

L'impossibilità di una qualsiasi difesa dinnanzi al dispiegarsi di una ferocia animalesca (più volte richiamata dall'accostamento dei goumier alle bestie), così feroce da fuoriuscire dalla sfera umana (indemoniati e diavoli sono infatti definiti ripetutamente i marocchini), l'abbandono subito dalle autorità alleate in cui avevano riposto tanta fiducia, segnarono in maniera indelebile la memoria dei giorni di guerra. L'immagine restituitaci, e dalla documentazione archivistica e dalle testimonianze orali, è quella di un paesaggio infernale: «I soldati marocchini che avevano bussato alla porta e che non venne aperta, abbattuta la porta stessa colpivano la Rocca con il calcio del moschetto alla testa facendola cadere a terra priva di sensi, quindi veniva trasportata di peso a circa 30 metri dalla casa e violentata mentre il padre (...) da altri militari veniva trascinato, malmenato e legato a un albero. Gli astanti terrorizzati non potettero arrecare nessun aiuto alla ragazza e al genitore in quanto un soldato rimase di guardia con il moschetto puntato sugli stessi» (13).

«Nui le semo incontrati per la via e pure in mieso alla strada se pigliavano le femmene», racconta sempre Giovannina M. «Gli omene anziani che stavano con nui nun ce putevano soccorre pecchè loro erano assai e ammazzavano chili che difendevano le donne...C'erano gli graduati che erano bianchi, francisi e non gli dicevano (g)niente. Iemmo (andammo) a fa commedia agliu commando... ce dissero che per fa ì (andare) annanzi gli marocchi li avevano dovuti dà "carta bianca". Solo alla fine, dopo tre iuorni, gli tolsero sta carta bianca». «Arrivettero addò stavamo nui e con chisti ce stevano pure i francisi, chigli che gli cumannavano», aggiunge Concetta C. «E facettero stragi... Io c'avevo le mie cose, quando se ne accurgettero gli due che m'avevano sbattuta per terra s'alluntanarono (...). Sai quante vecchie so morte per gliu dolore...». La popolazione poté soltanto nascondersi, sperando di riuscire a sfuggire ai soldati: «La notte so arrivati chisti marocchini e hanno cominciato a bussare alle case... grida dappertutto nel paese. A casa nostra non hanno fatto niente pecché la seconda notte si è ristretta tutta la famiglia... abbiamo chiuso dentro con una varra (sbarra) dietro la porta, e così dopo tre giorni è passata la furia» (14). Per il capitano Pittalli «il 90% delle persone che hanno attraversato la zona di operazioni delle truppe marocchine sono state derubate di ogni loro avere, come anche molto alto è il numero delle donne violentate, e notevole anche il numero degli atti contro natura commessi a danno di uomini», ricordando che «molti casi vengono taciuti» (15).

I dati del Ministero degli Interni, raccolti pochi mesi dopo la liberazione, indicano in circa 3.100 le donne vittime delle violenze sessuali da parte delle truppe marocchine (16) ma si tratta di una stima nettamente inferiore al numero reale degli abusi. La guerra moderna tendenzialmente totale, mise quindi in comunicazione anche le piccole località periferiche con i grandi eventi, che spesso finirono per coinvolgerle. La comunità, impossibilitata ad incidere sugli eventi, non riuscì ad elaborare una valutazione condivisa della violenza che la travolse.

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